Nel marzo del 1866 il contadino esterzilese Luigi Puddu, soprannominato Pibinca, mentre arava il campo di S'è munzu Franciscu, in località Cort'e Lucetta, ora appartenente agli eredi di Pietrino Serra, s'accorse ad un tratto che il vomere del suo aratro di legno aveva urtato contro qualcosa di duro. Incuriosito e preoccupato dell'ostacolo, allontanò i buoi aggiogati, si mise a scavare e riportò alla luce una lastra di bronzo scolpita, lunga cm 60, alta cm 45, spessa mm 5, del peso di circa 20 chilogrammi, costituita di metallo ben compatto e di buona qualità, sagomata in tutti i lati. L'ignaro scopritore di così importante documento epigrafico portò la tavola di bronzo in paese e la consegnò al parroco, canonico Giovanni Cardia, il quale lo volle compensare con un regalo di dieci lire (due scudi d'argento), allora costituenti una somma discreta. Giovanni Spano che si fece consegnare la lastra, la esaminò, la studiò e la pubblicò, cedendola al Museo Nazionale di Sassari, dove il pregevole oggetto si trova ancora. L'iscrizione, incisa a caratteri capitali, in 27 righe, esprime il seguente contenuto:
'Imperatore Otone Cesare Augusto Console. Il giorno diciotto di marzo'.
Quest'ordine è stato trascritto e confrontato col registro sigillato del proconsole Lucio Elvio Agrippa, presentato da parte di Gneo Ignazio Fusco, scrivano del questore, nel quale registro era scritto ciò che rea stato trascritto nell'altra tavola nei capitoli VII, IX e X. Il giorno 13 di marzo il proconsore Lucio Elvio Agrippa, sentite le parti in causa, ha reso questa sentenza: 'Poichè il bene comune prescrive che si debba tener conto di ciò che afferma la sentenza nella cuasa dei Patulcensi e poichè Marco Giovenzio Rissa, uomo di grande autorità, procuratore di Augusto, molte volte ha ordinato che i confini delle terre dei Patulcensi si devono mantenere come erano stati fissati nella tavola di bronzo di Marco Metello, comunicando inoltre che era disposto a punire i Galillensi, i quali in molte circostanze avevano provocato il disordine con risse e atti arroganti e non avevano ubbidito al suo decreto, ma che tuttavia in ossequio alla benignità dell'imperatore ottimo massimo era ancora disposto ad avvertirli con una altra ordinanza in maniera che stessero calmi rispettando questa giusta sentenza e prima dell'arrivo del mese di dicembre sgombrassero il terrritorio dei Patulcensi restituendone il libero possesso; che se intendessero con ostinati dispetti continuare la provocazione opponendosi agli ordini, egli stesso era pronto a punire tutti coloro che intendessero provocare disordini; dopo che i Gallinensi per la medesima causa si erano rivolti a Cecilio Semplice, uomo illustre affermando che dai documenti dell'archivio imperiale erano pronti ad esibire un'altra tavola con gli atti di questa causa; dopo che egli aveva fatto sapere che la buona volontà lo spingeva ancora a dare ulteriore proroga per la presentazione delle prove e per questo aveva concesso loro altri tre mesi fino ai primi di dicembre, trascorsi i quali, concesso loro altri tre mesi fino ai primi di dicembre, trascorsi i quali, se la carta non gli fosse pervenuta, egli si sarebbe attenuto a quanto contenuto nella carta presente in provincia, anch'io, sollecitato da parte dei Galillensi che affermavano che la carta non era ancora pervenuta a loro, ho loro concesso tempo fino al primo di febbraio, rendendomi conto che a questi proprietari avrebbe fatto comodo un'altra proroga, ordino che i Galillensi, entro il primo giorno di d'aprile, si ritirino dal territorio dei Patulcensi Campani che hanno occupato di prepotenza senza averne diritto. Qualora essi non sono disposti a ubbidire a questo decreto, sappiano che saranno condannati alla pena che molte volte è stata loro prospettata per il ritardo eccessivo. Al consiglio del proconsole hanno partecipato Marco Giulio Romolo, legato propretore, Tito Attilio Sabino questore propretore, Marco Stertilio Rufo figlio, Sesto Elio Modesto, Publio Lucrezio Clemente, Marco Domizio Vitale, Marco Lusio Fido e Marco Stertinio Rufo padre.
Furono testimoni Gneo Pompeo Feroce, Aurelio Gallo, Marco Blossio Nipote, Caio Cordio Felice, Lucio Vigellio Crispino, Caio Valerio Fausto, Marco Lutazio Sabino, Lucio Cocceio Geniale, Lucio Plozio Vero, Decimo Veturio Felice e Lucio Valerio Peplo.'
Questo importante documento storico, assai rilevante dal punto di vista amministrativo, giuridico, linguistico ed epigrafo, è una delle rare testimonianze scritte a noi pervenute che illustrano, con abbondanza di dati, la situazione delle popolazioni sarde in epoca imperiale romana, confermando, tra l'altro, per la prima volta, la presenza di Otone sul trono di Roma. Infatti la data del 18 marzo dell'anno 69 dopo Cristo, si riferisce ad un mese e due giorni anteriori alla morte per suicidio dell'imperatore tiranno, dopo la sconfitta di Bedriaco presso Cremona. Inoltre la tavola trovata nell'agro di Esterzili illumina un periodo di lotte tra le diverse tribù dell'interno, rivela in pratica una stato permanente di guerriglia, di sconfinamenti e di razzie, spiega la funzione dei governatori romani e fornisce altresì interessanti particolari linguistici e burocratici. Questa eccezionale testimonianza epigrafica era sepolta nei pressi dell'abitato romano di Cea Idda, ossia Valle o Piana dell'abitato, ancora oggi ricca di avanzi archeologici che ne attestano l'importanza e fanno pensare a questa località come sede delle turbolente tribù dei Galillensi, sempre in agitazione contro le genti della pianura, come è sempre avvenuto con i montanari pastori, temuti nemici degli agricoltori dei Campidani. Sulla tavola di Esterzili si sono soffermate insigni studiosi.